di Redazione

Nelle recenti elezioni al Consorzio della Piana di Venafro (tenutesi il 26 ottobre 2025) la lista “Acqua, Ambiente e Agricoltura” è uscita vincente in modo netto. Le urne, dunque, hanno parlato e nessuno mette in dubbio la regolarità del risultato. Ma allora dov’è il problema? Il punto centrale non è mettere in discussione chi abbia vinto: è mettere in discussione come funzioni (o non funzioni) il sistema interno. Se il regolamento non contempla alcuna rappresentanza per le minoranze elettorali, allora, benché il voto ci sia stato, la pluralità della volontà popolare non trova sbocco.

La democrazia non è solo voto, è anche rappresentanza: senza opposizione o voce alternativa, non c’è davvero bilanciamento. Il sistema che emerge è forte: tiene insieme le leve del potere elettorale e gli strumenti statutari (che escludono le minoranze) e in questo senso genera un “mostro” istituzionale, un corpo elettivo rinforzato da regole che escludono le alternative. Insomma: Una democrazia “a senso unico”.

Nel caso del Consorzio, si impone la lettura che: il risultato delle urne va rispettato – e lo si fa – ma la forma di rappresentanza non garantisce che chi perde abbia una reale possibilità di partecipazione o controllo. Di fatto, lo Statuto istituisce un meccanismo che impedisce alle minoranze di entrare nello spazio decisionale. l’esito è un sistema totalitario, non nel senso di regime politico nazionale, ma nel senso che una sola voce detiene la governance, senza contrappesi istituzionali. Il dato è questo: voto regolare? Sì. Risultato legittimo? Sì. Ma democrazia piena? No, almeno non secondo gli standard che richiedono che anche le minoranze siano rappresentate e possano partecipare.

Allo scopo, è utile e fondamentale ricordare che la Corte Costituzionale, con le sentenze n.1 2014 e n.35/2017, ha ribadito che l’imposizione di limiti all’accesso ai seggi deve essere giustificata da ragioni di equità e proporzionalità, evitando un’eccessiva riduzione della rappresentanza.

Il sistema, il “meccanismo” ha partorito un ente che più che pluralista appare monolitico. E quando un sistema istituzionale elimina la voce del “non dominante”, diventa, in pratica, totalitario nella sua forma locale.

Ed è qui che si apre il dibattito — lo Statuto dell’ente non prevede alcuna forma di rappresentanza garantita per le minoranze. In sostanza: si vota, ma chi perde resta senza voce. Ed è su questo punto che si può e si deve discutere, esprimendo una legittima preoccupazione riguardo queste e altre recenti vicende.

Ma una certa informazione, in particolare per quanto concerne la difesa d’ufficio proprio sulle considerazioni, libere, espresse da molti, sul risultato elettorale al Consorzio di Bonifica, cerca di enfatizzare una vittoria che potrebbe non essere così netta e limpida, anche e soprattutto sui risultati ottenuti nella terza e seconda fascia. Anomalo, infatti, che, a poche ore dalla la chiusura dei seggi, si sia registrato un incremento di voti diciamo… suggestivo, che evidentemente può sollevare legittimi sospetti.

Dati discutibili con possibili verifiche sulle modalità di voto: deleghe improprie o difformi e probabili contestazioni sull’assegnazione dei seggi. Verifiche che potrebbero portare a evidenti interrogativi sulla trasparenza del processo elettorale appena concluso e quindi anche sul risultato. Ma questo, se ci sarà, verrà evidenziato da chi ne ha la competenza.

La consultazione, però, è stata definita da qualche solone «sentita e partecipata», con tanta «soddisfazione per il verdetto delle urne» e rassicurazioni di supporto ai nuovi amministratori. «Una vittoria limpida, insomma, per la compagine che ha guidato fino ad oggi l’ente, e che ora consolida la propria leadership.» Ma anche questo si vedrà…

La discussione, invece è un’altra: lo Statuto dell’Ente che non prevede alcuna forma di rappresentanza garantita per le minoranze. In sostanza: si vota, ma chi perde resta senza voce. Ed è su questo punto che si sta parlando di sistema, esprimendo una legittima preoccupazione riguardo a questa e anche altre recenti vicende.

Sempre secondo certa stampa, un “sistema” non esiste perché parlano i numeri, e si può capire dal fatto che ciò è portato dalla tendenza di qualche professionista dell’informazione a dover obbedire a direttive molto precise.  Ma dimenticando, però che si tratta di una situazione che riflette una cultura non solo poco istituzionale, bensì antidemocratica che, paradossalmente, crea proprio quel “sistema” di cui, certo, non si può andare fieri, a prescindere!

La questione, perciò, non è solo teorica: dietro il funzionamento in questo modo, può esserci un modello di potere concreto. Si prenda ad esempio la forte polemica riguardo l’assunzione a tempo indeterminato, mediante delibera del Comitato Esecutivo, di un ingegnere – figlio di una consigliera regionale – nel Consorzio della Piana di Venafro. La denuncia dell’opposizione (in particolare del gruppo M5S in Regione) non mette in discussione la professionalità del soggetto, ma solleva il tema dell’etica pubblica, della trasparenza nelle procedure (concorsi, mobilità, promozioni) e del fatto che un ente pubblico “partecipato dalla Regione” dovrebbe garantire che le assunzioni non diano adito a favoritismi o cooptazioni.

Il risultato? In un sistema dove la voce dell’opposizione è priva di sbocco statutario, il controllo diventa più debole e diventa potenzialmente terreno per dinamiche di potere interno e legami politici. È, quindi statutariamente possibile che la maggioranza gestisca da sola l’organo consortile senza che parti significative della base consorziata abbiano un rappresentante nel Consiglio.

Questo rafforza la valutazione che il sistema sia – almeno dal punto di vista strutturale – predisposto in modo da concentrare il potere decisionale. Quindi: voto regolare? Sì. Risultato legittimo? Sì. Ma democrazia piena? No,  almeno non proprio, stando agli standard che richiedono che anche le minoranze siano rappresentate e possano partecipare.

Insomma, il sistema – il “meccanismo” – ha partorito un Ente che più che pluralista appare monolitico. E quando istituzionalmente si elimina la voce del “non dominante”, il sistema diventa, in pratica, totalitario nella sua forma locale. Al di là delle enfatizzazioni di facciata, seppur giuste, è su questo che si dovrebbe discutere e intervenire per eliminare certe storture, solo così si può parlare di democrazia!

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