di Redazione
La riduzione degli ambiti territoriali sociali da 7 a 3 accende il confronto politico. A Palazzo D’Aimmo sindaci in protesta contro le modalità della riforma.
È arrivata oggi nell’aula del Consiglio regionale la discussa riforma del Piano Sociale Regionale. Un provvedimento che ha subito acceso gli animi, in particolare per il nodo più controverso: la riduzione degli ambiti territoriali sociali da 7 a 3. Una scelta che la maggioranza difende come necessaria per “semplificare e rendere più efficiente il sistema”, ma che l’opposizione e molti sindaci presenti a Palazzo D’Aimmo contestano duramente. Ha illustrato all’Aula il provvedimento il Consigliere Relatore, Armandino D’Egidio, sono seguiti gli interventi per esprimere la propria posizione in merito all’argomento in discussione e la conseguente intenzione di voto dei Consiglieri Facciolla, Fanelli, Salvatore, Gravina, Greco, Passarelli, Primiani, Romano e il Presidente della Giunta regionale Roberti. Il Piano Sociale – ha spiegato D’Egidio- è frutto di un’articolata fase preparatoria; il testo, infatti, si basa su un’attenta analisi della situazione demografica, sociale ed economica che attualmente caratterizza la realtà territoriale di riferimento. Obiettivo principale del provvedimento, come prevede il Piano nazionale sociale – ha ancora rilevato il Relatore -, è quello sia di provvedere al miglioramento della qualità della vita dei cittadini attraverso l’attuazione dei Leps (i livelli essenziali delle prestazioni sociali) sia, conseguentemente, di garantire l’accesso equo ai servizi sociali sull’intero territorio regionale, con particolare attenzione alle categorie più fragili. Ma L’opposizione ha criticato duramente non solo il merito della riforma, quanto e soprattutto il metodo adottato, ritenuto poco inclusivo e privo di un confronto reale con i territori. “Una decisione calata dall’alto, che penalizza la rappresentanza e l’autonomia dei Comuni”, hanno denunciato in aula diversi consiglieri. Ad aumentare la tensione, la presenza di numerosi sindaci provenienti da tutto il territorio regionale, che hanno voluto manifestare il proprio dissenso direttamente ai rappresentanti istituzionali per chiedere il ritiro o la revisione del provvedimento, considerato dannoso per la capacità dei territori di rispondere ai bisogni sociali delle comunità.






























